Terza classificata

La Dr.ssa Albeituni è una giovane ricercatrice che lavora nel gruppo di ricerca diretto dalla Dott.ssa Nichols Kim del St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis: ha partecipato alla competizione con l’articolo pubblicato sulla rivisita Blood intitolato “Mechanisms of action of ruxolitinib in murine models of hemophagocytic lymphohistiocytosis”.

La dr.ssa Albeituni insieme al gruppo di ricerca, ha cercato di capire i meccanismi molecolari dell’azione del ruxolitinib (Jakavi®), un farmaco anti neoplastico per la mielofibrosi che sembra avere effetti immuno-modulatori potenzialmente utili a “calmare la tempesta di citochine nella HLH”. Sappiamo che la tempesta di citochine nella HLH è causata da difetti primari o acquisiti, della capacità citotossica delle cellule T (CD8+) e delle Natural Killer (NK) che precludono la loro capacità di interrompere la risposta immunitaria innescata. La tempesta citochinica comporta aumenti di IFN-γ, Fattore di Necrosi Tumorale-α (TNF-α) e interleuchina-1 (IL-1), IL-2, IL-6 e IL-18 e può produrre gravi lesioni in più organi se non si interviene per placarla. Quindi la iperproduzione di citochine è diventata un target terapeutico importante. La Food and Drug Administration statunitense ha approvato di recente l’Emapalumab (Gamifant) che blocca l’IFN-γ per i pazienti con HLH primario recidivante, refrattario o progressivo (NCT01818492). Tuttavia, un potenziale limite dell’uso di questo farmaco come unico trattamento, è che prende di mira una singola citochina, mentre non influisce sulla fonte della produzione di citochine o di altre citochine che possono propagare l’attivazione immunitaria e il danno agli organi. Ecco perché gli autori, prendono in considerazione anche il Ruxolitinib. Infatti, diversi casi clinici e modelli preclinici hanno messo in evidenza come Ruxolitinib bloccando le molecole JAK1/2 espresse in numerose linee di cellule immunitarie, tra cui cellule mieloidi, linfoidi. Ecco perché gli autori riportano i risultati di test su modelli murini di questo farmaco anche in confronto all’Emapalumab.

La dr.ssa Albeituni insieme al gruppo di ricerca ha affrontato questo problema valutando se il blocco di JAK1 / 2 che inibisce la produzione di citochine multiple, sia più efficace rispetto al blocco di una singola citochina, come per i trattamenti specifici control’IFN-γ. In un primo modello animale di topo che mima HLH primaria, il blocco di JAK1 / 2 ha portato a una minore trombocitopenia, a una minore epatosplenomegalia con meno CD8+ cellule T / monociti / infiltrazioni di neutrofili e soprattutto bassi livelli di citochine (IL-6, TNF-α, GM-CSF, MCP-1 e MIP-1α) rispetto alla sola inibizione della produzione di IFN-γ. Inoltre, il trattamento con Ruxolitinib ha mostrato una sopravvivenza dei topi significativamente maggiore rispetto alla sola inibizione dell’IFN-γ. In un secondo modello di topo che mima invece la HLH secondario il blocco dell’attività della molecola JAK1 / 2 si è dimostrato superiore all’inibizione di IFN-γ. Questo lavoro mette in evidenza 2 importanti risultati che meritano discussione. Innanzitutto, l’inibizione di JAK1 / 2 sembra più efficace rispetto all’inibizione sole dell’IFN-γ nella riduzione della tempesta citochinica, dell’attivazione immunitaria, dell’aumento del volume degli organi e della morte in questi modelli animali di HLH. In secondo luogo, la dr.ssa Albeituni insieme al gruppo di ricerca hanno identificato un ruolo critico dei neutrofili nell’indurre lesioni dei tessuti. Gli autori hanno notato che i neutrofili della milza dei topi modello per HLH hanno il recettore (TREM-1) iper-espresso che porta al conseguente aumento della produzione di TNF-α, MIP-1α, MIP-1β intracellulare e IL- 1β. Questa caratteristica “distorta “ di cellule neutrofile è stata corretta mediante l’inibizione di JAK1 / 2, ma non con l’inibizione dell’IFN-γ. Questo supporta il ruolo dell’attivazione dei neutrofili nella patobiologia dell’HLH ed evidenzia possibili somiglianze tra le lesioni d’organo nella HLH e quelle gravi osservate in altre malattie come la sepsi e la sindrome da difficoltà respiratoria acuta. In definitiva, la chiave per migliorare i risultati per i pazienti con HLH probabilmente dipende sia dalla mitigazione dell’attivazione delle cellule immunitarie sia dalla lotta contro i meccanismi attraverso i quali l’attivazione delle cellule immunitarie provoca lesioni fatali agli organi. Questo lavoro non nega i benefici del blocco dell’IFN-γ, che è un fattore determinante per l’HLH, ma suggerisce che alcuni pazienti potrebbero ricevere maggiori benefici con il Ruxolitinib. Tuttavia, è richiesta cautela. Sebbene Ruxolitinib sia stato usato in modo sicuro per più malattie e in combinazione con altri chemioterapici, la sicurezza di bloccare più citochine nel contesto di un paziente con HLH gravemente malato necessita di ulteriori valutazioni. È tuttavia fondamentale la ricerca in tal senso per capire i meccanismi molecolari alla base di questa malattia e il lavoro dimostra come grazie alla ricerca si potranno raggiungere cure più efficaci proprio dalla comprensione di questi meccanismi.

 

Articolo:

Albeituni S, Verbist KC, Tedrick PE, et al. Mechanisms of action of ruxolitinib in murine models of hemophagocytic lymphohistiocytosis. Blood. 2019;134(2):147–159.

 

 

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